di Gian Basilio Balloi
Ogni viaggio è un’avventura. Io personalmente faccio in maniera che “accada”, cioè si devono verificare delle indispensabili congiunzioni astrali, coincidenze o destino: voglia di partire, che a volte è semplicemente voglia di libertà, una meta prefissata che ti chiama. E occhi nuovi, come quelli di un bambino, per sapere che dove sei diretto lo dovrai amare perché farà parte di te per la vita.
In pochi giorni si son verificate queste tre cose e in mezz’ora ho già deciso. Destinazione, gruppo di 16 persone, zaino pronto all’ultimo minuto. Con me porto sempre qualcosa per i bambini dei paesi che visito: questa volta ho esagerato un po’ visto che su 20 chili di bagaglio da imbarcare ce ne sono 15 di quaderni, penne, colori e giocattoli che i bambini della scuola elementare con tanta generosità hanno messo da parte per me. Ho uno zaino capiente da portare a mano e quello penso possa bastare.
Il viaggio è lunghissimo: Cagliari, Roma, Madrid, Miami, La Paz. Al nostro arrivo siamo 6 ore indietro come fuso orario, ma stanchi da poter visitare solo un poco la città e poterci mettere a letto per essere operativi già dalla mattina presto successiva.
Decido di partire senza avere notizie precise del programma: voglio che tutto sia una sorpresa. E così è stato. Il vero viaggio consiste in un tour del paese con 4 fuoristrada, condotti da abili autisti con cui comunichiamo in spagnolo, due cuoche che si prenderanno cura di noi, e spazi aperti da esplorare, in genere tra i 4000 e 5000 metri di altitudine. Dobbiamo al più presto adattarci al mal di montagna, che ci fa stancare ad ogni passo che facciamo. Gli alberghi sono in genere piccoli, a volte con camerate da 6 ed un unico bagno con o senza acqua calda. Poco importano le comodità qui: c’è un mondo da esplorare!

La Bolivia è un paese povero. Noi ne visitiamo soprattutto la parte occidentale, costituita sia dalla cordigliera come dall’altipiano. Evitiamo quindi quella amazzonica, orientale. Un altopiano sopra i 4000 offre poche possibilità all’uomo, agli animali, ed alle piante, di poter fare una vita come siamo abituati ad intenderla noi. L’adattamento vince. Chi riesce ad adattarsi a questo ambiente ostile per temperature, altitudine, carenza di risorse, lunghi periodi di siccità, può definirsi fortunato. Spesso i paesini coi loro pueblitos distano l’uno dall’altro anche centinaia di chilometri. Senza contare che le strade son sterrate e spesso si cammina meglio fuori dalle strade troppo battute.

Il loro isolamento è una cosa nuova per noi, quindi pensiamo che ogni “popolino” debba produrre risorse ed essere più indipendente possibile dal resto del mondo. I lama, le vigogne, pochi polli e un terreno arido riesce a dare sussistenza a queste famigliole che vivono in case fatte di fango e paglia. Le comodità si riducono all’acqua calda e corrente, grazie alla linea elettrica o a pannelli solari. Spesso non c’è linea telefonica, o a volte solo per qualche ora al giorno. All’inizio son quasi confuso. Penso che sia ingiusto vivere in quel modo. Poi mi osservo e penso alle cose che ho in Italia: sono le cose a darmi la felicità? Su un muro un giorno lessi “Le cose importanti della vita non sono cose”. Allora osservo loro, i boliviani: onesti, umili, sorridenti, sereni. I loro bambini sono uguali ai nostri: amano giocare, ridono mentre gli faccio il “tatuaggio” con la penna di qualcosa che desiderano sulla pelle un po’ screpolata dal freddo. Allora mi dico che ognuno può essere felice se sa apprezzare quello che la vita gli dà, e questo indipendentemente da dove viva.

Ma voglio parlarvi dei luoghi. Come descrivere le immense distese, le montagne, i vulcani, le lagune coi fenicotteri, i lama al pascolo, le volpi, l’eleganza delle vigogne, il cielo che cambia sfumatura continuamente? Assistiamo all’alba, a tramonti meravigliosi, quando le nostre ombre nei salares diventano lunghe fino all’inverosimile. Poi ancora i cactus, alti come non li ho mai visti, dai fiori delicati e profumati, le farfalle, le rocce scolpite dagli elementi e colorato d’un rosso porfido. E poi il turchese del lago Titicaca e le isole del lago da raggiungere con le barche.
E’ un viaggio di introspezione. Mi induce a riflettere. Mi nutre. Mi insegna. Mi sprona. Gli spazi aperti mi portano a riflettere. Cosa sono io così piccolo davanti a tali immensità?
Questo voglio che rimanga dentro di me: così è la Bolivia, un paese che non si può raccontare. Ma è là, dentro di te, che ti aspetta con le braccia amorevoli di una buona madre: la Pacha Mama (la dea della terra, dell’agricoltura e della fertilità).