Quando si lascia Fano per infilarsi nella Flaminia che attraversa la bassa valle del Metauro, la prima sensazione è quella di pace. In questo paesaggio, più che le forme, colpiscono la luce e i colori e si ha quasi la sensazione di “entrare” in un quadro di Monet. Sembra esserci la mano del maestro impressionista nei contorni di queste dolci colline, tratteggiate da un’infinità di sfumature di verde. Bisogna aspettare di arrivare a Fossombrone perché l’Appennino mostri le sue prime asperità. Qui i colli mantengono la loro linea ondulata, ma crescono in imponenza e iniziano ad assumere i connotati della montagna. Questo borgo oggi sorge incastonato tra i monti delle Cesane e il versante più ripido del colle dei Cappuccini. Ma quando i romani lo battezzarono “Forum Sempronii”, il suo abitato si trovava più ad est, in una località che attualmente si chiama San Martino del Piano. Lo spostamento del paese nel sito attuale lo si deve alla furia del re dei Goti Alarico che nel 409 d.c. saccheggia e rade al suolo Fossombrone, prima di riservare la stessa sorte anche a Roma. Da allora il borgo si è sviluppato nel luogo dove lo troviamo oggi. Entriamo nel suo centro abitato e respiriamo subito un’aria particolare. Questa è una parte delle Marche decisamente “insolita”, diversa da quella del centro-sud: è un po’ Romagna, strizza l’occhio alla Toscana e ricorda l’Umbria. Il corso Garibaldi, cuore pulsante di questo borgo, è una via elegante e ordinata, ornata da dei splendidi porticati che accompagnano alla visita di scorci davvero suggestivi. La chiesa di San Filippo è la prima che si incontra quando si inizia a calpestare i sanpietrini del suo lastricato. Oggi sconsacrata, è stata eretta a inizio del Seicento come ringraziamento al santo per la nascita dell’erede dei duchi di Urbino Della Rovere. Dall’esterno si presenta con una semplice facciata a capanna di mattoncini che mostra evidenti i segni di una sopraelevazione. Quando si mette piede all’interno, l’impatto è spettacolare. Si nota subito la ricchezza e la cura delle decorazioni, tipiche del barocco. La pianta è a navata unica con cappelle laterali, con una grandiosa abside. Statue, cornici, pitture e fregi di ottima fattura la rendono sicuramente una visita interessante e molto piacevole all’occhio.

L’interno della chiesa di San Filippo

Dopo qualche centinaio di metri, ci troviamo davanti alla facciata di un’altra chiesa, molto simile a quella di San Filippo, ma con dei significativi elementi decorativi che la arricchiscono. La chiesa di Sant’Agostino, eretta durante il XIV secolo, presenta nella facciata lo stemma dei Malatesta e l’emblema degli speziali (mortaio con pestello) e si caratterizza soprattutto per la presenza di un bellissimo portale in arenaria. E’ evidente come l’edificio abbia subìto una sostanziale ristrutturazione che vide la vecchia chiesa trecentesca inglobare una nuova struttura. Sul lato sinistro, svetta uno splendido campanile in stile neoclassico, realizzato con mattoni faccia a vista. L’interno della chiesa è semplice, molto meno ricco rispetto alla chiesa di San Filippo, ma presenta una pregevole tela della Natività di Federico Zuccari e la rappresentazione della Madonna della Cintura con i Santi Monica e Agostino, opera di Giovanni Francesco Guerrieri. Lasciamo il Corso e ci infiliamo in uno dei tanti suggestivi vicoli che si arrampicano verso la parte alta del borgo e ci troviamo di fronte al palazzo della Corte Bassa, noto per essere stato la residenza dei duchi di Urbino e anche per essere stato l’abitazione di Giuliano Della Rovere, cardinale e fratello di Guidubaldo II, uno dei più famosi duchi. Subito salta all’occhio sulla facciata lo stemma dei Della Rovere, insieme ad un grande portale e da una serie di finestre inquadrate da una cornice modanata. Di rilievo anche l’ampio cortile con portico e, sul lato opposto, l’elegante ballatoio e i soffitti in legno a cassettoni. Molto bella anche la cappella privata del Cardinale, con pregevoli stucchi raffiguranti fatti della vita di San Pietro, attribuiti allo scultore marchigiano Federico Brandani.

Palazzo della Corte Bassa

Riprendiamo il cammino e ci perdiamo ammirati nel dedalo di vicoli che compongono il centro. Un vecchio seduto su una panchina ci guarda sorridente e compiaciuto, mentre esploriamo curiosi come bambini i luoghi della sua quotidianità. Improvvisamente usciamo dal labirinto di stradine e si apre davanti a noi una splendida veduta della valle. In mezzo al verde del paesaggio, si scorge la sagoma del convento degli Zoccolanti. Riscendiamo lentamente verso la parte bassa del borgo, tra piazzette colorate dai fiori e stradine sospese nel tempo. La penombra di un bel porticato ci conduce alla vista della splendida Concattedrale di Fossombrone. Si caratterizza per una facciata tripartita da tre colonne che ne allungano la parte centrale. Originariamente era un’abbazia benedettina, ma nel ‘700 è stata rifatta quasi totalmente in stile neoclassico. L’interno è ampio ed ha tre navate; in quella di destra c’è il battistero con una splendida statua in legno del Cristo Risorto. Davanti alla chiesa, oltre la strada si affaccia una pittoresca piazzetta (piazza Mazzini) impreziosita da una graziosa fontana. Ma non è solo l’architettura a raccontare l’anima medievale di Fossombrone. Quell’epoca rivive anche grazie al “Trionfo del Carnevale”, una festa che si svolge abitualmente a metà maggio. In quest’occasione tutto il paese ritorna indietro di 400 anni e veste i panni rinascimentali. Per le strade addobbate si possono vedere artisti di strada, figuranti, giochi per bambini, mercati rinascimentali, banchi di mestieri d’epoca. Inoltre, le contrade del paese si sfidano in giochi di abilità per aggiudicarsi l’ambitissimo “Palio del Cardinale”. In tutti i quartieri vengono allestite anche le “locande” dove è possibile gustare pietanze medievali, cucinate secondo le ricette dell’epoca.

Figuranti in abiti medievali durante il Trionfo del Carnevale di Fossombrone

Il canyon di Fossombrone e le Marmitte dei giganti

Lasciamo questo splendido borgo che ci ha sorpresi per la sua cura e le sue “inaspettate” ricchezze, e ci dirigiamo verso la campagna. Poco lontano dal paese, c’è un altro scorcio che ci lascia ancora una volta stupefatti. Questa volta è la natura e non la mano dell’uomo a regalarci una vista spettacolare: in zona San Lazzaro, basta affacciarsi da un ponticello per godere della vista di un vero e proprio canyon, le Marmitte dei Giganti. Questa forra è stata scavata dall’azione millenaria del Metauro che ha levigato le rocce calcaree, creando delle  cavità che ora sono diventate piccole e grandi “piscine” naturali. Se si volge lo sguardo verso la parte più a monte, si possono osservare delle meravigliose cascatelle che si insinuano tra le rocce biancastre. Una cornice naturale davvero incantevole anche se forse non valorizzata a dovere, vista la scarsa segnaletica presente per raggiungerla.

Il canyon di Fossombrone

Acqualagna, la capitale del tartufo

Il nostro viaggio nelle Marche prosegue arrampicandoci sulla provinciale che ci porta verso Acqualagna. Qui, all’ombra dei boschi che si estendono sulle colline, si trova in abbondanza una delle prelibatezze più celebri e ricercate dell’Appennino: il tartufo. Acqualagna è infatti considerata una delle capitali italiane del tubero ed ovviamente anche l’economia locale ne trae grande beneficio. Sono tante le aziende che lo lavorano e lo trasformano. Visitiamo una di queste, dall’eloquente nome di “Acqualagna tartufi”. Molto interessante è scoprire quale sia la filiera della sua lavorazione. L’azienda acquista il prodotto direttamente dai “cavatori” (i raccoglitori) e poi si procede alla lavorazione di tutte le varietà: bianco pregiato, nero pregiato, estivo e il “bianchetto”. La produzione è varia: salse, condimenti o anche semplicemente prodotti per la conservazione. Ogni giorno vengono “sfornati” migliaia di vasetti di diverse linee di prodotto, come quella “Vegan” (che garantisce sul buon trattamento dei cani utilizzati per la raccolta) o “Bio”, prodotti ricavati dai tartufi coltivati. Ovviamente il nostro pranzo in questi luoghi non poteva che essere a base del pregiato tubero. Mangiamo un bel piatto di tagliatelle, una frittata e una tagliata, tutte rigorosamente al tartufo in un ristorante del posto, con una spesa esigua. E nella capitale del tartufo non poteva certo mancare una fiera dedicata: da fine ottobre fino a metà novembre ogni anno si svolge la kermesse che celebra il tartufo e attira migliaia di visitatori, con esposizioni, degustazioni, convegni e intrattenimento. Ma “L’Acqualagna”, come affettuosamente i locali chiamano il loro borgo, è anche sinonimo di bellezze naturalistiche. A pochi chilometri dal centro abitato, c’è un verdissimo e curatissimo parco, chiamato “Parco della Golena”. Da qui, basta alzare gli occhi per godere di una visione mozzafiato: due pareti rocciose precipitano a capofitto sulle acque smeraldine del fiume Candigliano, creando una forra profondissima e suggestiva: la “gola del Furlo”. Uno scenario decisamente spettacolare che inserisce questo luogo di diritto tra le maggiori attrattive dell’Italia centrale.

La gola del Furlo

Al Furlo era molto legato anche Benito Mussolini, che era solito transitare da qui nei suoi lunghi viaggi da Roma verso Predappio. E tanti sono gli aneddoti dei locali legati alle visite del Duce. Proprio lungo le pendici del Pietralata, uno dei monti che si “tuffa” verso il Candigliano, è possibile scorgere ancora oggi il profilo di Mussolini. La costruzione di questo omaggio avviene nel 1936 ad opera della milizia forestale della zona e degli operai delle cave che estraevano la pietra rosa. Ideato dallo scultore Oddo Aliventi, il monumento raffigurava la fronte, il mento e il naso di Mussolini rivolti verso il cielo. Secondo i racconti della gente del luogo, il Duce ebbe da ridire sulla posizione che lo ritraeva disteso, come se fosse addormentato. L’opera, però, non ebbe una vita lunga. Nel 1944 parte del mento e delle labbra vengono fatte saltare dai partigiani. L’ordine di danneggiare il profilo di Mussolini proveniva niente poco di meno che da Winston Churchill che voleva colpire quel simbolo in una zona che formalmente apparteneva alla Repubblica di Salò.
Ritorniamo verso il centro abitato per scoprire una particolarità del borgo di Acqualagna che in pochi conoscono o ricordano. L’Italia, infatti, deve tanto a questo piccolo centro marchigiano per aver dato i natali ad Enrico Mattei, illuminato imprenditore e fondatore dell’Eni, uno dei protagonisti indiscussi del “miracolo economico” tricolore degli anni ’60. La piazza principale del paese non poteva che essere dedicata a lui. E proprio sotto un portico che si affaccia sulla piazza, c’è l’ingresso della casa dove Mattei era cresciuto. L’abitazione è visitabile e conserva alcuni stralci della sua storia personale, come la sua ultima firma, fatta prima di essere ucciso, il tappo della bottiglia di champagne stappato nel febbraio 1953 a seguito dell’approvazione e fondazione dell’Eni, e poi alcuni effetti personali, come la scrivania rimasta intatta con i suoi occhiali, le sue letture e il portasigarette.

Urbania, il mistero delle mummie

Superiamo la “capitale del tartufo” e risaliamo la valle del Metauro muovendoci verso l’entroterra, in direzione Urbania. Ci addentriamo verso il “cuore” dell’Appennino, ma il paesaggio non si inasprisce, anzi. Ora il panorama è dominato da un vastissimo altopiano, ornato dalle colline. La montagna, quella vera, si scorge solo in lontananza. Urbania ci accoglie subito con le sue atmosfere medievali. Attraversiamo il corso Vittorio Emanuele II e ci incamminiamo verso una delle attrazioni principali di questa cittadina: le “mummie” della Chiesa dei Morti. Nella cripta dell’altare maggiore sono conservate, infatti, le spoglie di 12 uomini e 6 donne che da quattro secoli sfidano le leggi della natura. Questi corpi sono stati ritrovati nei primi anni del 1800, quando a seguito dell’editto del 1804 di Napoleone Bonaparte, detto di Saint Cloud (che prevedeva lo spostamento dei cimiteri fuori le mura delle città per ragioni sanitarie) iniziarono i lavori di riesumazione dei cadaveri dai terreni dentro i centri abitati. Sorprendentemente alcuni corpi risalenti almeno a 2 secoli prima, vengono recuperati praticamente intatti. Secondo antropologi e biologi lo straordinario stato di conservazione di queste mummie è spiegabile con la presenza nel terreno dove sono state ritrovate, di una muffa (Hipha bombicina pers) che, a contatto con la pelle dei corpi, ha agito da antibiotico ed ha ostacolato la decomposizione. Per questo motivo è rimasta tutta la pelle, gli organi interni, la barba e in alcuni casi anche il cuoio capelluto.

Le mummie di Urbania nella chiesa dei Morti

L’idea di esporre in questa cripta i corpi fu di Vincenzo Piccini, priore della Confraternita della Morte e nella vita privata medico-farmacista. Rimase così tanto colpito dallo straordinario stato di conservazione di queste mummie che, dopo la sua morte, decise di farsi applicare un trattamento alchemico di sua ideazione. Il suo corpo è esposto insieme agli altri nella cripta, ma l’esito della conservazione non è stato lo stesso. Ognuna di queste mummie ha una storia da raccontare: c’è il giovane accoltellato durante una veglia danzante, con lo squarcio della lama ancora ben visibile; c’è l’impiccato, con la sua posizione contorta e sofferente, e quello della donna morta di parto cesareo, con un evidente taglio sul ventre. Ma fra tutte la storia più inquietante è sicuramente quella dell’uomo che fu sepolto vivo in stato di morte apparente e che si risvegliò nella tomba. In questo caso si può notare il drammatico sorriso sardonico dell’uomo, il diaframma contratto alla ricerca di aria e gli arti inferiori irrigiditi nel tentativo di liberarsi dal peso della terra. Lasciamo questo macabro e nello stesso tempo interessantissimo luogo, per visitare un’altra delle perle di Urbania, il palazzo Ducale. Ad accoglierci troviamo un elegantissimo cortile interno che introduce alla scalinata che porta ai piani superiori. Progettato dall’architetto Francesco Di Giorgio Martini nel 1470, l’edificio è stato proprietà della famiglia Brancaleone e poi dei duchi di Urbino. Ora è sede del museo Civico ed il percorso che si snoda per le sue sale ci porta alla scoperta di tanti piccoli tesori.

Il cortile interno del Palazzo Ducale di Urbania

Un viaggio tra dipinti, ceramiche e incisioni antiche come, ad esempio, la splendida stampa del Trionfo di Carlo V. Il museo ospita anche una Commedia di Dante Alighieri edita nel 1491 e i dei sonetti di Torquato Tasso del 1583. Tra le collezioni di grafica si possono trovare anche due vere e proprie “chicche”: due globi geografici di inestimabile valore del 1541 e 1551, del fiammingo Gerhard Kremer detto Mercatore, inventore del sistema moderno delle carte nautiche. Qui è molto curioso osservare come nel mappamondo siano ben delineate le coste orientali delle Americhe e come, invece, siano assenti le linee delle coste occidentali. Ma la visita al palazzo non è solo culturale. Camminare tra i suoi ampissimi spazi, consente di ammirare la grandiosità degli ambienti e anche di godere della splendida vista che si può ammirare dalla torre. Da qui si può accedere ad una splendida loggia che domina il fiume Metauro ed il pittoresco ponte che lo attraversa. La vista è nello stesso tempo rilassante ed entusiasmante.

Lasciamo la valle del Metauro con negli occhi ancora il trionfo di verde che queste colline regalano. Ripercorriamo la via Flaminia, questa volta verso l’Adriatico. Un po’ dispiace allontanarsi da questi luoghi. Un viaggio che ci ha fatto scoprire dei posti pieni di bellezza, storia e fascino, dove il passato sembra aver lasciato un’impronta indelebile nei posti e nei suoi abitanti.