E’ mattina a Doha e l’aria è già tiepida. Tra le sagome dei suoi futuristici grattacieli, si intravede un cielo limpido e pulito. Temevamo il vento, ma per fortuna soffia solo una brezza leggera. La giornata è ideale per il safari nel deserto qatariano, un luogo che solo in apparenza può sembrare anonimo: in realtà, l’esperienza tra le sue imponenti dune può anche essere elettrizzante. Un pullman ci porta fuori Doha, in direzione sud-ovest. Ci lasciamo alle spalle questa sfavillante Gotham City in salsa arabica e ci inoltriamo verso le sconfinate distese di sabbia. Lungo il tragitto l’occhio cade sulle raffinerie di gas e petrolio che qui in Qatar sono impossibili da contare. Passiamo dentro la cittadina di Al Wakrah, dove l’atmosfera rispetto a Doha cambia diametralmente. Case bianche e basse, dal tipico stile arabo, sebbene con gusto moderno. Anche qui la ricchezza è evidente, anche se meno ostentata e prepotente rispetto a quella della capitale. Ovunque volgiamo lo sguardo è un susseguirsi di cantieri, tra cui il più evidente è quello della metropolitana. I mondiali di calcio del 2022 si avvicinano e il Qatar deve presentarsi con l’abito di gala. Arriviamo finalmente nel punto di partenza del safari a Mesaieed, dove termina anche la strada asfaltata. Qui ad attenderci troviamo almeno quaranta jeep parcheggiate, pronte a portare i turisti alla scoperta del deserto arabico. Ci dirigiamo verso quella assegnata a noi, la “D-9”.

L’autista ci accoglie con un sorriso e con l’abito tradizionale qatariano: la thobe, la classica tunica bianca, e la ghutra, il lungo copricapo che ripara dal feroce sole del deserto. Dice di chiamarsi Khaled. Il viso è coperto da un paio di occhiali da sole a goccia e sul polso porta un appariscente orologio color oro. Arriva il momento della partenza. Le jeep si muovono e si dispongono in una lunghissima fila indiana, quasi come se fossero delle formiche che attraversano il deserto. Mantenere l’ordine sembra essere tassativo: appena qualcuna supera l’altra, immediatamente gli autisti cercano di ripristinare la disposizione originaria. Ad un certo punto iniziamo a prendere velocità. Rimaniamo stupiti e un po’ spaventati dalle manovre dell’autista davanti a noi: vediamo il posteriore della jeep spostarsi in una continua e folle derapata. Ma anche Khaled non scherza quando c’è da schiacciare l’acceleratore e si lancia a tutta velocità nei continui sali-scendi formati dalle dune. Sembra di essere sulle montagne russe e spesso le improvvise discese ci colgono di sorpresa, regalandoci forti scariche di adrenalina e mandandoci lo stomaco in subbuglio.

Spesso le dune raggiungono anche i 40-50 metri d’altezza e sfrecciare in questa superficie impervia è un’esperienza sconsigliata a chi non regge questi continui sballottamenti. Anche quando l’auto prosegue in maniera lineare, improvvisi slalom e sbandate ci lasciano di stucco, a metà tra il divertimento e la paura. Dopo un’ora di guida ci fermiamo su una duna molto alta, una sorta di belvedere in mezzo al deserto. In lontananza si scorge il Khor Al Adaid, il “Mare Interno”, uno dei pochi luoghi al mondo dove il mare s’insinua in profondità nel cuore del deserto. Più in là si vedono anche le acque del golfo Persico e l’immensa distesa dell’Arabia Saudita. La vista è magnifica e suggestiva, e approfittiamo per scattare qualche foto.

Risaliamo a bordo delle nostre jeep, ma Khaled non fa in tempo a riprendere il suo ballo scomposto sulla sabbia: incontriamo un altro gruppo di persone ferme in mezzo al deserto con la loro jeep in panne. Khaled si ferma per verificare la situazione e dare una mano. I turisti della jeep provano a spingere per liberare il mezzo arenato nella sabbia, ma è tutto inutile. Khaled afferra la radiolina e inizia a parlare fittamente in arabo. Impossibile sapere cosa dica esattamente, ma poco dopo arriva un’altra auto che carica le persone e le riporta via. Missione di salvataggio compiuta. Penso tra me e me che possiamo ritenerci fortunati: il nostro mezzo non ci dà nessun problema e l’esplorazione non subisce mai intoppi: una cosa non scontata quando si affronta il deserto del Qatar. La nostra jeep riprende la sua folle danza, come una tarantola impazzita. Khaled cavalca le dune come un surfista, portando la nostra “D-9” a planare sulle incandescenti pareti dorate con evoluzioni al limite del ribaltamento. Qualcuno inizia anche ad accusare le fatiche del safari. Da una jeep vediamo scendere velocemente una ragazza che si accascia al suolo visibilmente provata. Ci dirigiamo verso il mare e dopo circa 45 minuti di spostamenti sul deserto, raggiungiamo la nostra seconda tappa. Di fronte alle acque del golfo Persico, ci troviamo davanti ad un’enorme “tendopoli”, una sorta di campeggio ben attrezzato dove scendiamo per rifocillarci.

La spiaggia non è bellissima, ma l’acqua del mare è davvero pulita e invitante. Non resistiamo al richiamo e ci tuffiamo: scopriamo subito che il mare del golfo Persico non è esattamente una bacinella d’acqua calda, ma l’effetto è comunque piacevole. Ci rilassiamo per qualche ora distesi sulla battigia, coccolati dal sole qatariano e rallegrati dalla musica che arriva dal campeggio. Dalle tende un piacevole profumo di carne alla griglia ci stuzzica l’appetito. Sui banchi è pronto un ricco buffet con cibi di tutti i tipi: riso, verdure, carne, spiedini assortiti. Tantissime anche le bevande, ma l’alcol è bandito. Da un lato ci sono anche alcuni uomini che impastano e cucinano davanti ai nostri occhi il pane arabo per eccellenza, la “pita”. Con grande padronanza e velocità afferrano i panetti dell’impasto e poi lo cucinano su delle piastre roventi. Ce lo offrono ancora caldo e noi consumiamo con piacere. Nelle vicinanze due uomini stazionano con quattro cammelli, pronti ad attirare i turisti che volessero portare a casa qualche scatto o provare l’ebbrezza di cavalcare sulle gobbe di questi simpatici animali.

Poco lontano, con lo stesso intento commerciale, ecco due simpatici qatariani che portano sull’avambraccio alcuni falchi. Arriva il primo pomeriggio e Khaled ci fa cenno che è arrivato il momento di andare. Saliamo a bordo della jeep. Il viaggio di ritorno è decisamente meno movimentato e ne siamo sollevati. Per quanto divertente ed emozionante, non avremmo resistito agli stessi ritmi a cui siamo stati sottoposti all’andata. Percorriamo un tracciato alternativo rispetto a quello della mattina, seguendo la linea della costa. In lontananza scorgiamo alcuni gruppi di persone accampati tra le dune, alle prese con dei singolari barbecue nel deserto. In poco più di mezz’ora siamo di nuovo a Mesaieed, dove ci attendono i pullman. Ci lasciamo definitivamente alle spalle il Qatar più selvaggio, per riabbracciare quello ipermoderno e futuristico. In lontananza già si vede lo scintillante skyline di Doha. In poco tempo l’atmosfera intorno a noi cambia e si passa dai silenzi dorati del deserto alla frenetica e luccicante capitale. Potenza dei petroldollari che hanno trasformato in poco tempo un villaggio di pescatori in mezzo al deserto in una delle città più moderne e ricche del mondo.