Quando partiamo L’Avana sonnecchia ancora. Solo il Malecòn, l’affascinante lungomare della capitale, sembra non dormire mai. Gli sbuffi delle onde dell’Atlantico non danno pace all’infinita muraglia che separa il mare dalla strada. E’ lui a darci il buongiorno, sotto un cielo che minaccia pioggia. Non è esattamente la giornata che i miei compagni di viaggio ed io avevamo sognato per andare alla scoperta della valle di Viñales, considerata a Cuba un vero e proprio paradiso naturalistico, ma tant’è. Il viaggio comincia attraversando una parte dell’Avana che non sembra l’Avana. Le atmosfere calde e spagnoleggianti dell’Habana Vieja e quelle decadenti di Centro Habana sono lontane. Da queste parti si vedono solo grandi alberghi e condomini moderni, dove, ci dicono, vivono gli impiegati delle ambasciate. Più avanti ecco apparire anche diverse ville con giardino. Qui la Cuba povera sembra scomparire. Ma è solo un circoscritto e illusorio Truman Show. Ci lasciamo alle spalle la capitale e ci dirigiamo verso ovest, imboccando la Carretera Central, la strada che attraversa tutta l’Isola e quasi la “spacca” a metà. L’aria si bagna, inizia a scendere una pioggia leggera ed insistente. Il verde domina il paesaggio. La strada è disseminata da enormi cartelloni con le effigi di Fidel Castro e Che Guevara che richiamano all’orgoglio nazionale e alla Rivoluzione, con scritte come “Cuba es nuestra”. Tutte le macchine vanno incredibilmente piano e non certo per la pioggia o per le condizioni precarie in cui questi cimeli a quattro ruote sono tenuti in piedi: le buche, o per meglio dire, le voragini che si aprono sull’autopista hanno forme fantasiose, e spingono gli automobilisti alla prudenza. Più ci inoltriamo nella campagna e più ci sembra di marciare indietro nel tempo. Con indosso i loro inconfondibili cappelli i campesinos (i contadini cubani) percorrono lenti i bordi della strada a bordo dei loro carri trainati dai buoi e sembrano non curarsi della pioggia.

Dopo circa due ore arriviamo a Pinar del Rio, la prima tappa del nostro viaggio. Edifici bassi in stile coloniale, facciate colorate e la “solita” atmosfera decadente. Da questo punto di vista Pinar non si discosta molto da tante altre città cubane. Scendiamo per una breve visita ed entriamo nella piccola fabbrica del liquore locale la “Guyabita del Pinar”. E’ un rum aromatizzato con la “guyabita”, appunto, un frutto che si trova abbondante nelle montagne della zona. Si tratta di una bacca che regala al distillato un’essenza piacevolissima e gradevole. Assaggiamo un goccio e rimaniamo estasiati dalla sua dolcezza. Sui muri della fabbrica capeggiano i murales dell’onnipresente Che Guevara e di José Martì, l’eroe nazionale dell’indipendenza dalla Spagna. Lasciamo la fabbrica ed ovviamente ci portiamo a casa diverse bottiglie di questo delizioso nettare, per appena 4 cuc ciascuna.

All’uscita subiamo l’assalto di alcuni cubani che ci chiedono qualche soldo in cambio di sigari che, a prima vista, non sembrano avere una qualità proprio eccelsa. Ci mettiamo di nuovo in marcia verso la nostra meta. Ora la strada si restringe e si arrampica su delle colline. Dalla fine striscia di asfalto sale una vegetazione folta, di un verde intenso. Dopo qualche chilometro tortuoso, il paesaggio si apre e si iniziano a scorgere le distese di piantagioni di tabacco. L’occhio cade sulle case dei campesinos: alcune curate e ben tenute nella loro dignitosa povertà, altre sono baracche fatiscenti che danno un’idea di condizioni di vita al limite della decenza. Per chi è abituato alla relativa ricchezza della Cuba turistica, vedere le condizioni dell’Isola nelle zone rurali può essere un duro colpo allo stomaco. Qui i cartelloni di “regime” si moltiplicano a vista d’occhio, rispetto all’Avana e dintorni. Impossibile non incrociare lo sguardo del Che nella sua celebre foto scattata da Alberto Korda. Non è un caso che questa sia considerata una delle zone più conservative di Cuba e anche tra le più filo-governative. Mentre proseguiamo immersi in una natura sorprendente e rigogliosa, arriviamo a Viñales. Ad accoglierci troviamo subito i mogotes, i curiosi “panettoni” di calcare che hanno reso celebre questa cittadina e i suoi dintorni. Queste singolari colline rocciose sono nate in seguito al crollo di grotte scavate dall’acqua nella sua azione millenaria. Alte da 140 a 400 metri, sono ricoperte da un cappello di vegetazione verdeggiante che le rende ancora più pittoresche. Anche per via della loro forma sono diventate una meta molto ricercata da rocciatori ed escursionisti. Dopo questo primo “assaggio” di Viñales, capiamo perché nel 1999 questa valle è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

Entriamo nel centro abitato e, come spesso accade a Cuba, l’impressione più forte è quella di tornare indietro nel tempo. I bambini che corrono sulle piazzette, sedie a dondolo davanti all’uscio delle case, galline e maiali che zampettano liberamente nei giardini, i muri scrostati delle abitazioni dai vivaci colori pastello. Sembra di essere dentro un film neorealista, ma con uno sfondo caraibico al posto dell’Italia del secondo dopoguerra. L’incantesimo si rompe quando lo sguardo si sposta nella parte più turistica. I ristoranti, i locali e tutto ciò che è destinato agli yuma (così i cubani chiamano in maniera ironica gli stranieri) è curatissimo e ben tenuto, in netto contrasto con il resto della città. Andiamo a consumare il nostro pranzo a due passi dalla Cueva de l’indio, la nostra prossima meta. Come i campesinos, mangiamo pollo e riso, insieme alla gustosissima frutta locale. Ci incamminiamo verso questa grotta senza grandi aspettative. In realtà, scopriremo che il posto è incantevole e alcune sue particolarità meritano di essere ammirate. Anticamente abitata dagli indigeni cubani, oggi è una delle attrazioni turistiche più famose della zona. L’accesso è stretto, ma si passa abbastanza facilmente. Tutta la grotta è illuminata e il passaggio è agevolato da un sentiero ben delimitato. Tra stalattiti e concrezioni dalle forme più strane, ci avviciniamo nel punto in cui la grotta è attraversata da un fiume sotterraneo. Qui inizia la parte più suggestiva della visita. Ci imbarchiamo a bordo di alcuni piccoli motoscafi ed iniziamo l’esplorazione. Navigare dentro la pancia di questa montagna, con pochissima luce e con un silenzio surreale, rende l’esperienza unica. Come in ogni grotta del mondo, le guide ci mostrano i punti in cui le stalattiti disegnano delle forme particolari o tratteggiano delle sembianze umane. Ad un certo punto la nostra imbarcazione si dirige verso un triangolo di luce, una sorta di stargate che rompe la semioscurità. In poco tempo ci troviamo all’esterno della grotta. Improvvisamente passiamo dall’ambiente nudo e cupo della cueva, ad un’atmosfera verdeggiante e luminosa, nonostante la giornata uggiosa. Siamo circondati da una vegetazione selvaggia e lussureggiante, con delle piante rampicanti che scendono dalla montagna e sfiorano l’acqua. L’impatto è magnifico e rende la parte finale della visita decisamente affascinante.

Soddisfatti, lasciamo la cueva: Viñales ha ancora tanto altro da offrirci. Attraversiamo le campagne, tra palme e sterminate distese di verde, e arriviamo nella casa di un contadino della zona, immersa nel mezzo di una grande piantagione di tabacco. Ramon ci mostra la sua finca e ci porta dentro il grande capannone dove si appendono ad essiccare le foglie di tabacco. Il profumo delle foglie avvolge tutto l’ambiente e rende ancora più piacevole curiosare. Ramon ci spiega che il 90% del tabacco viene venduto allo Stato per la produzione dei sigari e che il suo prezzo dipende soprattutto dalla qualità delle foglie. Ad un certo punto afferra un coltello e un mazzetto di tabacco e con una maestria sorprendente produce sotto i nostri occhi un sigaro. Con un sorriso ci invita a provarlo. Non ho mai fumato in vita mia, ma non resisto alla tentazione di “assaggiarlo”. Appoggio in bocca senza aspirare, ma questo è sufficiente perché il palato si impregni di un aroma gradevole e fragrante. Facciamo una breve esplorazione di tutta la finca. Oltre a coltivare il tabacco, Ramon alleva anche qualche animale. Le galline pascolano liberamente, mentre quattro conigli sonnecchiano dentro una gabbia a loro dedicata. In un gabbiotto in disparte troviamo anche due hutie cubane, dei roditori molto simili ai castori che si trovano solo nei Caraibi. Ovviamente Ramon non può esimersi dal provare a venderci dei sigari: un pacco da 10 ce lo propone per altrettanti cuc.

Lasciamo la finca e ci spostiamo verso la tappa successiva del nostro viaggio. Mentre ci avviciniamo, scorgiamo la nostra nuova meta in lontananza. A quattro chilometri ad ovest di Viñales, davanti ad un bellissimo prato verde ornato da palme, troviamo il “Mural de la Prehistoria”, un enorme dipinto di 120 metri e largo circa 80. Questo murale occupa un’intera parete rocciosa ed è stato realizzato dall’artista cubano Leovigildo Gonzàlez nel 1961. Viste le sue dimensioni, non sorprende che per terminarlo ci siano voluti circa quattro anni, con 18 persone costantemente impegnate. Ci sono raffigurati un serpente, dinosauri, mostri marini e anche degli esseri umani. Il dipinto, ci spiegano, simboleggia la teoria dell’evoluzione. I colori vivaci, l’originalità dell’opera e lo splendido scenario in cui è immersa, rendono la visita decisamente piacevole. Il tutto è addolcito da una meravigliosa piña colada, servita in un locale dei paraggi.

Mentre la pioggia lentamente si dirada, ci spostiamo verso la nostra ultima “fermata” a Viñales, il Mirador, il belvedere della cittadina. Una volta arrivati, ritroviamo una vista simile a quella del nostro arrivo, sebbene da un’altra prospettiva. Ed ovviamente l’effetto che suscita non è meno suggestivo. Ancora una volta il verde di questa valle ci stupisce. Nonostante la giornata non sia per niente luminosa, i colori appaiono sempre vivi. I mogotes dominano il paesaggio: le loro pareti precipitano a picco sugli altopiani, dove le distese di tabacco si estendono a perdita d’occhio. E poi le palme, che con le loro chiome crespe, come quelle delle bellissime chichas cubane, ravvivano la vista. Un gruppo musicale interamente al femminile allieta i visitatori del Mirador con ritmi sudamericani, suonando le note colorate di Cielito lindo e Guantanamera. Staremmo qui, immersi in questa atmosfera rilassante, per ore. Ma è tempo di lasciare la valle. Ripartiamo con ancora la splendida immagine dei mogotes negli occhi. Ripercorriamo a ritroso la strada che ci ha portato a Viñales. Incrociamo i visi scavati dei campesinos che, stanchi, lasciano i campi coi loro carri. Il cielo si apre e lascia passare qualche debole raggio di sole. Ma è solo un’illusione: il buio cala e ci accompagna fino a quando non si scorgono le prime luci de L’Avana. La città ora è viva e si prepara per le frizzanti notti del fine settimana. Attraversiamo il Malècon che ora sembra sbuffare impaziente: anche lui attende la noche habanera.