Un’antica città sul mare, testimonianza di grandiose civiltà che si sono susseguite nel tempo. La scoperta di possenti statue, probabilmente tra le più antiche della storia. E poi il mito di una sovrana illuminata capace di realizzare uno dei codici giuridici più avanzati e progressisti del Medioevo. Nel libro della storia sarda c’è un’area geografica costantemente presente, protagonista di alcune delle epoche che hanno segnato l’Isola. Siamo nella costa centro-occidentale, in un’area che si estende da Arborea a sud e si chiude più a nord, nella penisola del Sinis, nel comune di Cabras. Un zona che racchiude buona parte del golfo di Oristano e che ha un’incredibile concentrazione di siti archeologici.

Il Sinis

San Giovanni, l’estrema propaggine meridionale della penisola del Sinis, è come un’enorme passerella in mezzo al mare. Folti cespugli di macchia mediterranea diradano verso est e ovest, e lambiscono spiagge e basse scogliere. Qui la bellezza dei luoghi è accompagnata dalla presenza di un patrimonio storico e archeologico straordinario. A nord troviamo il villaggio nuragico di Muru Mannu, mentre a sud ecco le rovine di altri due nuraghi. Nel mezzo di questo lembo di terra, adagiata di fronte alle acque azzurre e placide del golfo di Oristano, troviamo le rovine dell’antica città di Tharros. Un luogo che emana un fascino straordinario, non solo per lo splendido scenario che le fa da contorno: da storici ed esperti è considerato, infatti,  uno dei siti più importanti dell’intero bacino del Mediterraneo. L’origine di questo insediamento è probabilmente fenicio-punica, anche se altre teorie fanno risalire la sua nascita ad un periodo antecedente. Ci sono studiosi che ipotizzano la presenza in questo sito di un insediamento nuragico esistente già nell’età del bronzo. Passeggiare sulle sue strade è come salire a bordo di una macchina del tempo. Le testimonianze del periodo fenicio-punico riguardano soprattutto l’aspetto funerario e votivo: due necropoli e un tophet, il tipico santuario della cultura cartaginese. Ma le sue rovine riguardano soprattutto il periodo romano. Ecco dunque il castellum aquae (un serbatoio di distribuzione dell’acquedotto della città) ed il cardo maximus, la maggiore arteria cittadina. Dopo la metà dell’XI° sec d.C. iniziò il suo declino, per via dei continui attacchi dei saraceni. Il suo abbandono fece la fortuna di “Aristane”, l’attuale città di Oristano.

Statue dei Giganti di Mont’e Pramas nel museo di Cabras (Or)

I Giganti di Mont’e Pramas

Più a nord, lasciando il mare alle spalle, a circa 2 km a ovest dallo stagno di Cabras, troviamo una collina chiamata in lingua sarda “Mont’e Pramas” (monte delle palme) che nel marzo del 1974 fu protagonista di un ritrovamento straordinario. Due contadini rinvennero numerosi pezzi di statue in arenaria che si capì subito essere molto grandi. Successivamente gli archeologi riportarono alla luce oltre 5000 frammenti tra cui 15 teste, 27 busti e 176 frammenti di braccia. Una scoperta straordinaria, non solo per la sua portata “numerica”, ma anche per i suoi significati storici. Queste statue, ribattezzate “Giganti di Mont’e Pramas” per via delle loro dimensioni, rappresentano il primo esempio di cultura statuaria della civiltà nuragica. Queste opere riprendono le figure già rappresentate nei famosi bronzetti realizzati dagli antichi sardi: gli arcieri, con un arco e un braccio protetto da una guaina e da un guanto; i guerrieri, che portano uno scudo circolare e, infine, i pugilatori, con un guanto armato e uno scudo protettivo sopra la testa. I tratti dei visi delle statue sono molto marcati, con dei grandi occhi composti da due cerchi concentrici, quasi a voler dare un segno di potenza e magia. Secondo gli studiosi queste statue sono collocabili  nel IX secolo a.C. o addirittura nel XI secolo a.C.: una datazione che potrebbe farne fra le più antiche statue a tutto tondo del bacino Mediterraneo, in quanto antecedenti ai “kouroi” della Grecia antica. I 38 giganti ricomposti sono esposti  ora nel museo Archeologico nazionale di Cagliari e nel museo Civico di Cabras.

Torre di Mariano IV a Oristano

Quando Oristano era capitale

Per scoprire un’altra tessera importante del mosaico che compone la storia sarda, basta percorrere qualche chilometro più a sud. Non lontano dal Sinis troviamo Oristano, una città con un passato da antica capitale. Il suo massimo splendore è riconducibile al periodo giudicale sardo ( tra il IX ed il XV secolo d.C.), quando l’Isola era suddivisa in quattro regni: il giudicato di Torres, il giudicato di Cagliari, il giudicato di Gallura e il giudicato d’Arborea, di cui Oristano era la capitale. Alcuni tra i monumenti più importanti della città sono legati proprio a questa fase della storia sarda. Uno di questi è la Torre di Mariano, costruita nel 1291 e alta 19 metri, edificata da Mariano IV, “giudice” (così venivano chiamati i sovrani dei regni sardi) dell’epoca. Una delle piazze più eleganti della città è dedicata ad Eleonora d’Arborea, regina del giudicato dal 1383 al 1404. Proprio qui è presente una statua della “giudicessa” eretta nel 1881. Una sovrana entrata nella storia soprattutto per aver aggiornato in senso più moderno la “Carta de Logu”, una raccolta di leggi scritte in sardo volgare, considerata uno dei codici più moderni dell’epoca. Eleonora d’Arborea è ricordata anche per essere quasi riuscita nell’intento di unificare la Sardegna sotto un unico regno.

Cavaliere della Sartiglia

“Sa Sartiglia”, una giostra antica

La festa più importante della tradizione di questa città è legata proprio al periodo medioevale. “Sa Sartiglia” è una giostra le cui testimonianze scritte risalgono al ‘500, ma che con ogni probabilità veniva praticata da molto tempo prima. Si svolge l’ultima domenica e il martedì di Carnevale e consiste nella discesa a cavallo di numerosi cavalieri per le vie del centro storico della città, con l’obiettivo di centrare una stella appesa ad un filo. Le corse sono organizzate da due “gremi” (le antiche corporazioni): quella della domenica viene organizzata dal gremio dei Contadini (sotto la protezione di San Giovanni), mentre quella del martedì grasso viene preparata dal gremio dei Falegnami, protetti da San Giuseppe. Tutta la festa ruota intorno alla figura de “Su Componidori”, il capo corsa. Uno dei momenti clou  della Sartiglia è la sua vestizione: la persona che per quell’anno è stata scelta indossa gli abiti tradizionali e gli viene messa sul volto una maschera bianca. In quell’istante “Su Componidori” diventa una sorta di semidio e dovrà rimanere sul suo cavallo (senza mai toccare terra) per tutta la durata della giostra. Le sue discese verso la stella aprono e chiudono le corse. Un rito che vede miscelarsi tradizione, cultura agro-pastorale, cristianesimo, ma anche usanze di chiara origine pagana. Nell’immagginario simbolico della festa la stella rappresenta buona sorte e fecondità: infilarne tante con la spada significa propiziare un buon raccolto in primavera.